
La storia di Michele Padovano, dichiarato innocente dopo 17 anni tra prigione e tribunali: «Il mio pensiero va a chi non riesce a farcela»
- Sport
- Dicembre 20, 2024
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L’ex attaccante racconta il suo arresto e la successiva assoluzione
La vicenda di Michele Padovano, simbolo di un’ingiustizia durata 17 anni tra carcere e tribunali, diventa un docufilm. L’attaccante che aveva vinto una Champions League con la Juventus ricorda l’inizio di tutto, avvenuto il 10 maggio 2006. «Ero appena uscito da un locale di Torino dopo un incontro elettorale, essendo candidato al Comune. In via Cibrario, vicino all’ospedale dove sono nato e alla chiesa dove ho sposato Adriana, alcune auto civetta della polizia mi sbarrarono la strada. Pensai fosse uno scherzo, aspettavo lo striscione di “Scherzi a parte”. Invece, era l’inizio di un incubo».
Manette, perquisizioni e carcere
Padovano ha vissuto momenti drammatici: «Manette, perquisizione a casa, carcere e l’accusa di essere il finanziatore di un gruppo criminale, quando in realtà avevo solo prestato dei soldi a un amico». Ha trascorso del tempo nelle prigioni di Cuneo e Bergamo. «Nei momenti difficili capisci chi è davvero un amico e chi no. Ho fatto pulizia nella mia vita. Dopo l’arresto, solo pochi, oltre alla mia famiglia, sono rimasti al mio fianco. In carcere, invece, ho trovato tanta umanità. Credo che molti detenuti abbiano capito prima dei giudici che non sono un criminale», racconta in un’intervista con Antonio Barillà. Ora che è fuori, Michele riflette: «Il mio pensiero va a chi non ce la fa, a chi resta dietro le sbarre, a chi perde la speranza, si ammala o muore».
L’abbandono del calcio
Della sua vecchia vita calcistica, Padovano ricorda solo pochi amici. «C’è chi mi è rimasto vicino, come Presicci, con cui ho iniziato la carriera a Cosenza. Siamo amici anche tra famiglie: io sono padrino di suo figlio, lui del mio. Poi c’è Vialli, al quale ero legatissimo: non c’è giorno in cui non pensi a lui. La maggior parte degli altri, invece, sono spariti. Per andare avanti ho dovuto vendere tutto. Avevo un diverso stile di vita, ma oggi ho trovato un’altra ricchezza. Ho imparato cosa conta davvero nella vita».
Padovano racconta anche la finale Italia-Francia del 2006: «L’ho vista con il mio compagno di cella. Conoscevo molti dei protagonisti e ho tifato senza invidia. Mi avrebbe fatto piacere ricevere un messaggio di vicinanza. Pazienza…».
La carriera
Dopo il calcio, Padovano aveva iniziato come direttore sportivo: «In questi lunghi anni ho chiesto lavoro a tutti, ma nessuno me lo ha dato. Ora sono talent per Sky e ci sono stati contatti con alcune società: qualcosa si sta muovendo. Spero di ricominciare, ma nessuno potrà restituirmi ciò che ho perso».
Nel frattempo, si è appassionato al biliardo: «Mi ha aiutato perché è uno sport che richiede riflessione e pazienza, qualità di cui avevo bisogno. Inoltre, posso praticarlo nonostante le mie ginocchia rovinate: padel o calcio sono ormai impossibili per me».